Si usa accompagnare al nome della cosa un’aggettivazione che ne identifichi l’appartenenza, sia essa ad un luogo, come a dire la casa costruita in quel preciso luogo dal quale ne deriva il nome, oppure ad un proprietario. La Villa Fanusa, sorgendo nella contrada Fanusa, si chiama così perché fu edificata proprio su quella terra fangosa (dal siciliano fangosa, che come molte lingue è generato dal gotico fani) che dà nome al luogo. Nasce l’esigenza di un nuovo nome perché l’edificio cambia destinazione d’uso, diviene un albergo e non è più una casa vissuta dal suo padrone, ma una residenza che viene offerta allo straniero in cambio di denaro. Appare logico riformulare un nuovo nome che derivi sempre dalle peculiarità del luogo. Occorre individuare quei fattori che muovono il turista a raggiungere questa meta. Un elemento è la tradizione, ed essendo quest’ultima, una trasmissione avvenuta attraverso l’oralità, sarà la lingua locale, quella siciliana, ad esserne la maggiore testimonianza e più riccamente e direttamente l’espressione. Il nome, dunque, dovrà avere una sonorità o meglio una stretta accezione siciliana. Altro elemento è la grecità e l’antica ricchezza di Siracusa (luogo dove sorge la dimora). Pensando alla grecità e alle testimonianze che essa ha lasciato in questo luogo vengono in mente due elementi: la luce che bagna la pietra bianca delle antiche costruzioni greche ed il mare che bagna le nostre coste, che ha portato il popolo greco, con la sua straordinaria cultura, sulle sponde dello jonio per fondare Siracusa. La parola mare nella sua origine sanscrita maru serviva per due cose apparentemente opposte: il deserto e il mare. In realtà indicava una distesa vasta e pura nella sua essenza, priva di qualsiasi discontinuità, priva di punti di riferimento, priva d’ombra e di riparo. Il deserto e il mare sono entrambi dominati e connotati dall’alternarsi della luce e del buio. Nell’accezione più anti- ca la parola maru derivava da mar che significava sia morte (da qui il senso infecondo, sterile dove non cresce nulla, come il mare ed il deserto), sia anche il suo contrario:luce, scintillare, risplendere, anche in questo caso come la luce abbagliante del deserto e del mare. Quindi all’origine della parola sanscrita maru vi era il più antico dei contrari: luce e buio, luce e ombra. L’ombra dal sanscrito chaya, indicava un luogo coperto e

al riparo, da qui la parola casa, derivata da Kasa, così come i greci chiamavano la capanna. La casa, è il luogo d’ombra, e nasce come soglia tra il buio e

la luce. Da sempre la casa, la tenda, una coperta su un palo è il riparo del nomade nel deserto, come la coperta di un barca quello del marinaio. Rimane solo da ripor- tare alla luce un nome già nato da millenni, riunire ciò che era stato disgiunto: chaya e mar, la casa e il mare, Chayamar. Abbiamo cercato la casa e il mare abbiamo trovato la luce e l’ombra; la grecità è sorta così spontaneamente, nel senso degli elementi, nell’etimo e nel suono. Occorre adesso leggere questo nome semplicemente in “siciliano” facendo attenzione a conservare tutta la forza, non resta che nominarlo: “Caimmari”.